Siamo abituati a dividere e categorizzare il mondo delle relazioni sentimentali tra le persone in base agli organi genitali in gioco: siamo davvero solo questo?
Negli anni ’60 lo psicologo George Weinberg ha fornito un grandioso disservizio alla comunità (non voglio dire comunità LGBTQ+, ma quella comunità in senso lato che comprende ogni individuo che si trova a vivere, pensare, agire, nella società odierna) coniando il termine “omofobia”. «Ma come disservizio», diranno alcuni paladini dei diritti, «non sarà mica un articolo scritto da una sentinella in piedi o una persona del movimento pro-family?».
Mi limito a invitare il lettore scandalizzato a proseguire la lettura fino in fondo.
Analizziamo la parola omofobia dalle sue radici greche: όμοιος (omoios) significa uguale, simile mentre φόβος (fobos) viene tradotto con paura. Dunque concerne la paura di ciò che è uguale. Ma come, non è invece la paura del diverso? Forse è il caso di fare un bel rewind e riprendere da capo.
Tutti noi sappiamo perfettamente che l’omofobo è colui che non ha paura, non teme, ma propriamente odia, chi intrattiene relazioni sentimentali e/o sessuali con persone del suo stesso sesso. Dunque il termine ‘fobia’ è totalmente fuorviante e controproducente in quanto pone il soggetto omofobo in una condizione di vittima della propria paura, così come colui che si trovasse a fare i conti con la claustrofobia per esempio e quindi con un’ansia incontrollabile ogni volta che entra in spazi chiusi. Ebbene, l’omofobo non è vittima della propria paura, ma al contrario è il carnefice che induce malessere, timore, ansia e disagio, alla persona omosessuale. Analizziamo ora όμοιος ‘uguale’, termine che sottende, nella parola ‘omofobia’, il concetto di ‘stesso sesso’. Ma in che senso? Chi ha stabilito che le relazioni debbano essere categorizzate unicamente alla luce degli organi genitali in gioco? Voglio dire, non è certo la sola esistenza di un pene o di una vagina a determinare la relazione, tanto eterosessuale, quanto omosessuale: se così fosse per una donna eterosessuale un partner varrebbe l’altro, la sola presenza di un organo maschile sarebbe motivo sufficiente della relazione, e viceversa per una donna omosessuale qualunque altra donna potrebbe essere l’oggetto di un rapporto, ma così non mi risulta. Dicasi lo stesso per l’uomo, eterosessuale o omosessuale che sia. La sessualità è senza dubbio un aspetto importante, ma, appunto, è solo uno dei tanti aspetti che concorrono a determinare la relazione tra due persone. I rapporti sentimentali si basano e sono mossi anche da molte altre similarità e differenze: una coppia può avere propensioni comuni o tra loro distanti- allora saranno omo-ἐπιθυμία (=propensione, desiderio) omoepizumia ed eteroepizumia- o può avere o non avere progetti condivisi – e allora ecco due omo-ἐπιβολή (=progetto, impresa) omoepibole ed eteroepibole. Non mi sembra che questi siano termini in voga, ma andiamo oltre. In effetti, pur nella sua assurdità, potrebbe avere più senso categorizzare due persone che condividono una relazione alla luce di una decisione che il singolo membro o la coppia nel suo insieme ipotizza, pondera e intraprende. Ma il caso dell’omosessualità è ben diverso: nessuno ha scelto di esserlo, nessuno ha scelto di stare con un’altra persona in quanto anch’essa omosessuale, ma al contrario ci si trova ad esserlo, ci si trova a provare attrazione per un’altra persona, la quale a sua volta si trova a provare attrazione e, al contempo, si trova ad avere lo stesso genitale (che poi quando mai due persone hanno lo stesso genitale?). Sarebbe come dire: io mi trovo ad avere i capelli lisci, così come il/la mio/a partner dunque siamo omo-μαλλιά (=capelli) omomallia, se siamo alti uguali siamo omo-ύψος (=altezza), omoupsos, e via dicendo. Immaginiamoci una società in cui chi sceglie un partner con la sua stessa tipologia di capelli sente di dover nascondere la relazione, teme il giudizio degli altri, ha paura di non essere accettato da amici e familiari, si sente dire che è contro natura amarsi avendo gli stessi capelli. Il teatro dell’assurdo.
Dunque, per ritornare a Weinberg e al suo disservizio, aver coniato il termine ‘omofobia’, porta con sé l’idea che vi sia una differenza (intesa come qualitativa) tra chi da uomo ama un uomo e da donna ama una donna e chi è uomo e ama una donna ed è donna e ama un uomo.
A questo punto qualcuno tirerà fuori la più grande difesa sfoderata sull’argomento dell’omofobia dicendo: «nonostante io possa essere d’accordo, è la società ad essere omofoba ed è per questo che molte persone sono ingiustamente discriminate». Il termine società dovrebbe essere bandito in contesti di tal genere perché imputare le cause delle discriminazioni alla società è il modo più semplice e banale per distanziarsene, allontanando da sé la responsabilità che ognuno di noi, individualmente, ha nel mantenere se non alimentare gli stereotipi. Ebbene, io sono la società; tu, lettore, sei la società; e anche tu, che disgraziatamente non leggerai mai questo articolo, sei la società. La società è fluida, muta ogni giorno sulla base dei mutamenti dei singoli membri che la compongono. Per placare gli animi accesi nelle prime righe questo articolo non è stato scritto da una sentinella in piedi, bensì da qualcuno che pensa che condividere la stessa tipologia di organo sessuale non costituisca che un aspetto, e non necessariamente il più essenziale, dei molteplici e ben più profondi, che caratterizzano la complessità delle relazioni tra le persone.
Scritto da Dott.ssa Sofia Bonomi, Psicologa Milano Porta Romana e Brescia Articolo pubblicato in data 13/05/2021 su Echoraffiche
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