Il Sé frammentato può riflettersi in un corpo negato, scisso, denutrito, maltrattato. Vediamo come nuove forme di disturbi alimentari diventano lo specchio di una società che cambia.
Il corpo è al centro dell’esperienza di ognuno di noi. A tratti passa inosservato o sotto traccia, mentre altre volte irrompe improvvisamente nel nostro vissuto. Da un punto di vista psicoanalitico è un corpo-psichico pulsionale, che “parla” laddove mancano le parole: quando la forma di funzionamento più evoluto (quella mentale e di pensiero) fallisce, il corpo prende il sopravvento e si presenta attraverso una manifestazione somatica. Possiamo pensare al corpo come ad un “teatro” (McDougall, 1989), che mette in scena il conflitto psichico attraverso una risposta somatica. Se pensiamo alla vastissima area dei disturbi alimentari ci appare evidente quanto il corpo assuma un’importanza cruciale. Il fitto intreccio che interessa l’intrapsichico (costituito da tutte le esperienze consce e inconsce accumulate fin dall’infanzia), il materno, il paterno, estendendosi fino al contesto sociale in cui si inscrive, rendono la comprensione e il trattamento di questi disturbi molto complessi. I disturbi alimentari possono manifestarsi attraverso forme fenomenologicamente molto distanti tra di loro: si parla di binge-eating disorder, di bulimia, di anoressia, ma negli ultimi anni sono sempre più presenti anche altre forme tra cui l’ortoressia o la vigoressia. Queste ultime si manifestano attraverso una fissazione maniacale verso il cibo considerato sano (nel primo caso) e attraverso un’attenzione ossessiva per la forma fisica e l’allenamento (nel secondo).
Il disturbo alimentare è la manifestazione di una patologia dell’Ideale che implica un ripiegamento narcisistico in cui l’Altro è escluso, in quanto possibile fonte di dipendenza, e dove, dunque, lo scambio relazionale diventa impossibile.
Tutto l’investimento è concentrato sul proprio corpo, che diventa lo specchio dell’immagine psichica interna, instabile e contraddittoria. L’ambivalenza di amore/odio introiettati può raggiungere forme estreme e manifestarsi attraverso attacchi furiosi, alternati a momenti di apparente quiete, quando la pulsionalità è sotto controllo.
Un tentativo di controllo ossessivo viene messo in atto in molteplici aree, quali l’alimentazione, l’attività fisica, spesso anche la scuola: il bisogno profondo di ricevere approvazione dagli altri induce chi ha un disturbo alimentare ad assumere un “falso Sé”, diretto alla perfezione. Il desiderio sottostante sembra essere un bisogno di piacere a tutti, per piacere a sé stessi. Va da sé che questo tentativo si rivela inevitabilmente fallimentare e comporta solo cocenti sensi di colpa seguiti da ulteriori autopunizioni e comportamenti restrittivi.
Il mito della perfezione si esplica nell’autosufficienza di chi non deve chiedere niente a nessuno, perché basta a sé stesso: l’aspirazione all’onnipotenza si materializza in un corpo privo di bisogni in cui la fame diventa un allarme terrorizzante, in quanto segnale del fallimento del tentativo di annullare il proprio istinto.
Il processo di soggettivazione, compito evolutivo che porta l’adolescente a diventare un adulto autonomo e separato rispetto alle figure genitoriali, se non è ostacolato, porta all’autenticità. Le persone con disturbi alimentari, al contrario, non riescono mai a raggiungere quell’integrità perché sono obbligate a tendere ad una perfezione che tuttavia non è mai appagante e mai raggiunta appieno.
La letteratura riporta il frequente passaggio da una forma all’altra di disturbo alimentare: pur attraverso manifestazioni molto diverse, possiamo considerare questa classe di disturbi come dei tentativi di cura della malattia sottostante che riguarda l’identità e il Sé. Non è un caso che l’esordio di questi disturbi si inscriva nel passaggio alla pubertà, quando il corpo adulto si forma e si impone nelle sue caratteristiche femminili o maschili più evidenti. Il corpo che cambia e diventa un corpo sessuale, che di contro non è accompagnato da un Sè altrettanto pronto ad una strutturazione identitaria stabile: il controllo maniacale sul corpo si poggia sull’illusione persecutoria di plasmarlo a proprio piacimento. L’immagine corporea, la sua forma e le sue proporzioni, sono da intendersi come controparte concreta del Sé fragile e instabile dell’individuo. In particolare, il corpo della donna, nei suoi tradizionali aspetti più femminili, viene denegato a favore talvolta di un corpo emaciato, efebico, asessuato, dall’aspetto prepuberale, proprio dell’anoressia, talvolta di un corpo muscoloso e prestante che rivendica la propria forza e autonomia. Quest’ultima manifestazione sta diventando sempre più comune tra le giovani donne, in una continua ricerca dell’eccellenza e della forza, che si esplica primariamente nell’aspetto fisico e nella forma del corpo. La narrazione del Sé della donna, così come proposta dalla società odierna, induce alcune ad abbracciare soluzioni autarchiche onnipotenti come sforzo di integrare i diversi frammenti di un’identità in costruzione. Ogni aspetto della vita è controllato e razionalizzato, mentre il desiderio e l’emotività sono coartati e soffocati.
Alla donna di oggi non è concesso nessun cedimento, le è richiesto di essere madre presente e accudente ma anche lavoratrice di successo che parallelamente trovi il tempo e le energie di allenarsi perché è importante avere un corpo sempre tonico e giovanile e che mangi solo cibi salutari senza sgarrare.
Si è passati così dalla gabbia del focolare, in cui la donna è stata relegata per millenni, alla gabbia della Wonder Woman che da un lato tutto può ma che, dall’altro, tutto deve.
Semi A., (1997) Trattato di Psicoanalisi. Volume Secondo Clinica. Raffaello Cortina Editore, Milano. Mangini E., (2015) Elementi dell’esperienza psicoanalitica. Pulsione, immagine, parola poetica. Edizioni Libreria Cortina, Milano. McDougall, J., (1989) Teatri del corpo. Raffaello Cortina, Milano.
Scritto da Dott.ssa Sofia Bonomi, Psicologa Milano Porta Romana e Brescia Articolo pubblicato in data 29/09/2022 su Echoraffiche
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