Sul solco della tradizione freudiana, Vienna accoglie, ascolta e valorizza la diversità della schizofrenia che, attraverso il linguaggio dell’arte, raccoglie i frammenti e ne fa narrazione.
Vienna, 1889: in via Bergasse 19, Sigmund Freud studia e riceve i suoi pazienti, iniziando a introdurre il metodo catartico come alternativa più funzionale dell’ipnosi nel trattamento dell’isteria e ponendo le fondamenta di quella che sarebbe poi diventata la psicoanalisi.
Vienna, 1889: a 19km a nord-ovest della città, in un’area boschiva, viene fondata la Clinica Psichiatrica Maria Gugging, la quale si sarebbe ben presto distinta dall’immagine tetra e desolante che si associa automaticamente ad un manicomio o ad ogni altro centro destinato a pazienti schizofrenici.
Pochi anni dopo. in Francia, un concomitante movimento culturale si sta formando: Jean Dubuffet (1901–1985) sviluppa il concetto di Art Brut, in cui sono la spontaneità e l’inconsapevolezza stessa dell’artista a rendere tale l’opera d’arte. L’art brut si sviluppa in direzione antipodica rispetto a ciò che i secoli precedenti ci hanno abituato a vedere nei musei e nelle accademie: non c’è teoria, proporzione o prospettiva che regga.
Se la storia è fatta da coincidenze che si concretizzano, allora Leo Navratil capita nel posto giusto al momento giusto: è psichiatra, lavora alla Gugging Clinic, ha sentito parlare del brutalismo e ha saputo accostarsene senza tacciarlo di blasfemia della tradizione artistica precedente. Infine, è probabilmente dotato di una certa sensibilità artistica che male non fa e di uno spirito di avventura che lo spingono a voler sperimentare: et voilà, i test di disegno a scopo diagnostico affollano la sua scrivania e i corridoi della Clinica Gugging.
Il vero colpo di scena arriva ora: le montagne di scartoffie che lo psichiatra sottopone e raccoglie dai pazienti non diventano giaciglio di topi né spessore per i tavoli traballanti della clinica, ma vengono invece raccolti, studiati e sottoposti al vaglio di Dubuffet in persona, il quale, nel ‘69 sentenzia in modo inequivocabile: gli artisti del Gugging appartengono al movimento dell’Art Brut.
Da questo momento in poi la vita della Clinica e dei pazienti schizofrenici ricoverati si lega in maniera inscindibile alla creazione artistica, tanto che sembra che le regole che vincolano gli artisti alla clinica si discostino nettamente dalla tipica lista da ospedale: sveglia alle 6, alle 6.30 colazione e primo giro di medicine e via dicendo, l’unica prescrizione diventa: essere liberi nella creazione.
Se sei uno psichiatra illuminato, tendenzialmente non tradirai le aspettative e la stima che ti sei guadagnato scegliendo dei collaboratori ottusi. Per questo motivo Navratil accoglie alla clinica Johann Feilacher, artista e psichiatra, fino al momento in cui questo gli succederà alla direzione del centro. Il Dott. Feilacher viaggia in scia al suo predecessore: gli artisti del Gugging espongono le loro opere fuori dai confini dell’Austria, mentre in casa iniziano a dipingere la facciata di un intero edificio, destinato a diventare la House of Artists. La parabola è impressionante: da Clinica a comunità residenziale, da pazienti psichiatrici ad artisti riconosciuti e in molti casi anche apprezzati e ben quotati sul mercato. Nel 2006 viene inaugurato il Gugging Museum, in cui sono ad oggi esposti in modo permanente numerose opere degli artisti, laddove sono state create.
Ogni artista vissuto o vivente nella struttura gode di una libertà pressoché illimitata: la priorità è dare sfogo all’ispirazione che trova uno spazio e un luogo pronti ad accoglierla, ovunque essa si manifesti. Paradigmatica è la stanza di uno dei più celebri artisti del Gugging, August Walla (1936-2001), dipinta da cima a fondo – pareti, soffitto, telaio delle finestre e della porta compresi – con scene rappresentanti la religione e l’universo privato e familiare di August, raccontati anche attraverso scritte e simboli tratti dal vocabolario che la mente di questo artista schizofrenico ha concepito (vedi Immagine di copertina).
Se da un lato il visitatore del museo ha la sensazione di trovarsi in un luogo particolare, diverso da ogni altro museo ma anche ospedale conosciuti, dall’altro lato si dimentica quasi subito di essere in quella che originariamente era stata concepita come una clinica psichiatrica, un luogo sì di cura, ma anche di costrizione e reclusione di quei “matti” che non si sa bene come trattare. Se è vero che il Gugging è costruito al di fuori di Vienna, come d’altra parte si faceva normalmente anche in Italia – almeno fino alla legge Basaglia del ’78 –, è anche vero che è esattamente quella popolazione di “sani” che si reca all’ex clinica per vedere le opere d’arte e incontrare gli artisti in persona.
Ogni opera può essere goduta in sé: può colpire per la quantità di colori e i loro accostamenti così come per l’assenza di essi, per le forme delineate, a volte poco definite e a volte nette, così come per i temi che essa racconta, i quali a volte ricordano il tempo di un’infanzia spensierata e a volte la crudezza di un incubo spaventoso. È vero però che, se si sceglie di approfondire la biografia e l’identità dell’artista,il quadro può anche assumere nuove sembianze e nuovi significati.
A sua volta possiamo pensare che la creazione serva all’artista a mettere ordine in un mondo che appare al paziente schizofrenico come confuso, frammentato, scisso, illogico, privo di senso e continuità: sulla tela prende forma e corpo il caos, successivamente controllato attraverso di diverse modalità specifiche per ognuno. Per esempio Walla mette in scena i personaggi del suo universo, portandoli in questo mondo condiviso, forse nel tentativo di domarli. Johann Garber invece riempie il foglio dei più piccoli particolari: a volte lettere e parole, a volta disegni più o meno dissacranti (vedi immagine 2), o ancora Heinrich Reisenbauer, che ripete in modo preciso – per non dire ossessivo – uno stesso elemento più e più volte (vedi Immagine 3), forse cercando di appropriarsene.
Vienna, patria della psicoanalisi, e il Gugging in particolare, proseguono sulla scia di una tradizione aperta da Freud, che fa dell’ascolto dell’unicità e della valorizzazione del singolo le fondamenta imprescindibili di ogni relazione.
Scritto da Dott.ssa Sofia Bonomi, Psicologa Milano Porta Romana e Brescia
Articolo pubblicato in data 16/09/2021 su Echoraffiche
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