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Il tempo tra senso comune, psicoanalisi e Buddismo Zen


Il celebre quadro di Salvador Dalì, surrealista. Si osserva un paesaggio inventato, spoglio, con colori accesi. Spiccano tre orologi sciolti che si afflosciano su un parallelepipedo, un ramo secco, un altro elemento difficilmente identificabile.
Salvador Dalì, Persistenza della memoria (1931).

Che cosa sia il tempo è una domanda ambiziosa a cui è difficile rispondere; la psicoanalisi, come anche il Buddismo Zen, ci hanno provato, e sorprendentemente, hanno trovato delle risposte parzialmente sovrapponibili.

Il concetto di tempo è uno degli interrogativi che animano il dibattito e il pensiero dell’uomo fin dalle sue origini. Filosofi di ogni epoca, scrittori, fisici, uomini di fede, psicoanalisti: ognuno ha tentato di catturare il senso del tempo e addomesticarlo. Ma si ha spesso la sensazione che qualcosa inevitabilmente sfugga alla comprensione, che il tempo non si faccia mai cogliere per intero. Comprendere il tempo, d’altra parte, significherebbe comprendere la vita e la morte: è corretto dire che laddove finisce il tempo, finisce la vita? O al contrario, il tempo prosegue nella morte? Ma allora la morte non porta con sé l’interruzione del tempo della vita? Ogni interrogativo ne apre altri, finché si rinuncia al sapere inequivocabile per accontentarsi di qualche ipotesi incerta. Caliamoci ora nel senso comune, che tende a sovrapporre il concetto di vita al tempo che ognuno ha a disposizione. L’immagine è quella di una linea retta, che inizia con la nascita (o con il concepimento? o la gestazione?), per poi allungarsi con il proseguire della vita, fino ad interruzione brusca coincidente con la morte. Il momento del vivere è quello presente, attuale, contingente. Poi c’è il passato, che invece prende la forma dei ricordi. Si ha quasi la sensazione che solo ciò di cui ci ricordiamo – a cui possiamo pensare e di cui riusciamo a parlare – costituisca il nostro passato. Sappiamo poi che davanti a noi c’è il futuro, con un’ampia quota di ignoto. Un futuro vicino, ma anche un futuro lontano che pensiamo si accorci man mano che passano gli anni. Il fatto di non sapere quanto futuro ci resta, quanta vita abbiamo ancora davanti, è un dato tanto spaventoso quanto insito nella vita di ognuno, a cui comunque, tendenzialmente, si cerca di non pensare. È interessante come le caratteristiche del futuro mutino radicalmente in base al sistema di credenze su cui il singolo individuo si poggia: c’è chi crede di essere padrone di sé e della propria vita e chi ha una visione più fatalista per cui, tra la rassegnazione e l’accettazione incondizionata, accoglie ciò che viene, come esito del disegno destino.


Si mostra il celebre quadro di Gustav Klimt, in cui sono raffigurate tre figure femminili nude, che rappresentano le tre età: a sinistra c'è la donna anziana, china su se stessa e con un corpo deformato dall'età, in centro una donna giovane, dalla pelle fine e bianca, fiore di giovinezza, a destra, tenuta in braccio, c'è una bambina addormentata sulla madre. Lo sfondo è colorato nella tipica maniera dell'artista viennese.
Gustav Klimt, Le tre età della donna (1905)

Anche la psicoanalisi, occupandosi dell’inconscio, delle pulsioni, della vita e della morte, – potremmo dire: occupandosi dell’uomo – si è interrogata sul concetto di tempo, e ne ha prodotto una teoria complessa e intricata.

Per gli psicoanalisti infatti tutte le esperienze pulsionali e relazionali, anche quelle assorbite dal soggetto in tempi remotissimi – addirittura già durante la gestazione – plasmano la psiche e vengono convogliate nel grande calderone dell’inconscio che, in un certo senso, immagazzina e mantiene vive tutte queste tracce e frammenti di ricordi.

Il soggetto è, e, in ogni momento, diviene, alla luce di ricordi consci ed inconsci che lo animano, spingendolo in una direzione o in un’altra, oppure lo frenano, lo paralizzano, inducendolo a ritornare indietro.

L’inconscio è per definizione atemporale; possiamo immaginarlo come un fiume, le cui acque sono le esperienze accumulate durante l’arco della vita. Proprio come nel letto di un fiume, le acque-esperienze si mescolano tra di loro, cambiano direzione, scendono ora sul fondo, riemergono, sulla base di spinte, pulsioni, deviazioni e ostacoli che si incontrano. L’inconscio, dunque, tratta alla stessa stregua eventi (psichici o reali che siano) avvenuti poco fa e altri avvenuti decenni prima. È come se l’inconscio vivesse un eterno presente, che ha la capacità di plasmare via via l’hic et nunc del soggetto. Proprio queste caratteristiche dell’inconscio sono responsabili della coazione a ripetere, uno dei concetti chiave del pensiero psicoanalitico, ovverosia la tendenza a ripetere e ritornare laddove si è già stati, finendo per riprodurre,attivamente ma inconsciamente, situazioni del passato spesso dolorose. Avviene così che il passato si riattualizza nel qui e ora, precludendo la strada al nuovo e costringendo il soggetto a rivivere ancora e ancora esperienze o relazioni penose.

La cura psicoanalitica si pone, tra gli altri, anche l’obiettivo di slegare il soggetto dal giogo della coazione a ripetere, al fine di renderlo libero nelle proprie scelte e non più in balia di un passato che si presentifica e impone. Rivivendo nell’hic et nunc della relazione analitica esperienze traumatiche del passato ottenendone però una risposta inedita, il paziente può dare un significato postumo a ciò che un tempo era rimasto senza nome, attenuandone (o annullandone) l’effetto patogeno. Anche qui, passato e presente coesistono e si intrecciano fino ad essere sovrapponibili.


Immagine stilizzata di un paziente sdraiato sul lettino nello studio dello psicoanalista Freud, che mostra al dottore delle figure-ricordi che dal suo schermo vengono convogliate e raccolte dallo psicoanalista viennese.
Il processo psicoanalitico.

Il Buddismo Zen presenta punti in comune con la psicoanalisi, in particolare rispetto al concetto di tempo, o meglio, di atemporalità. Per i Buddisti, la vita è qui e ora: concetti che racchiudono ogni cosa, pur non comprendendone estensione o durata. Non ha senso parlare di inizio o fine, ma nemmeno di dimensione: queste sono categorie che la mente forma per circoscrivere la realtà così come per cercarne un senso, e che tuttavia falliscono proprio perché essa si trova aldilà di essi.

Ne deriva un’immagine della vita che non è più quella del senso comune, dunque di una retta con un inizio e una fine, ma di una linea costituita da tanti, infiniti punti, ognuno dei quali è il ‘qui e ora’. La pratica di meditazione Zazen, attività centrale in questa branca del Buddismo, è finalizzata proprio ad aprire al soggetto la possibilità di esperire e vivere (nel senso più profondo del termine), ogni singolo hic et nunc, senza che questi vengano offuscati da ricordi del passato, o speranze del futuro.


fotografia che raffigura la stanza della meditazione presso il Monastero zen SanboJi. Un monaco cammina in centro, dirigendosi verso il fondo della stanza per iniziare la cerimonia. Ai suoi lati molte persone in piedi si preparano alla meditazione imminente.
Foto scattata presso il Monastero zen SanboJi, Tempio dei Tre Gioielli.

Possiamo dire che il Buddismo Zen e la psicoanalisi condividano uno stesso obiettivo tanto semplice, quanto ambizioso: aiutare gli individui a vivere, nella piena consapevolezza di sé, sempre nel qui e ora.

“Io sto bene/ Proprio ora, proprio qui/ Non è mica colpa mia/ Se mi capita così/ È come un’illogica allegria/ Di cui non so il motivo/ Non so che cosa sia/ È come se improvvisamente/ Mi fossi preso il diritto/ Di vivere il presente”

Gaber, L’Illogica allegria


Scritto da Dott.ssa Sofia Bonomi, Psicologa Milano Porta Romana e Brescia Articolo pubblicato in data 02/02/2023 su Echoraffiche

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