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Mens sana in corpore sano


Mens sana in corpore sano, atleta scalatore

La narrazione che si fa dell’atleta professionista lo assimila spesso ad un superuomo invincibile: tuttavia il sovrainvestimento del corpo può rivelare un contraltare di difficoltà e fragilità psichica.


Roland Garros, giugno 2021: Naomi Osaka, campionessa di tennis posizionata al secondo posto nel mondo, si ritira inaspettatamente dall’Open di Francia. Prima della drastica decisione aveva già spostato su di sé l’attenzione, rifiutandosi di rilasciare interviste a seguito delle partite disputate nel torneo e, per questo, era stata prima multata e successivamente minacciata di squalifica, qualora questo rifiuto – contrario al regolamento – fosse perdurato. Naturalmente nessuno si era soffermato molto sulle ragioni alla base della decisione della tennista, considerando il rifiuto come un capriccio di una delle atlete più pagate al mondo. È stata Osaka stessa, attraverso i social media, a far sapere a tutto il pubblico la sua decisione, nonché la motivazione alla sua base: «La cosa migliore per il torneo, per gli altri giocatori e per il mio benessere è che mi ritiri, in modo che tutti possano tornare a concentrarsi sul tennis […] Quando sarà il momento giusto, discuteremo di quello che è meglio per i giocatori, per la stampa e i fan. Non sono una che parla facilmente in pubblico ho attacchi di ansia prima di parlare con i media» e ancora «la verità è che ho sofferto di attacchi di depressione dopo US Open 2018 e ho avuto davvero difficoltà a farcela. Qui mi sentivo vulnerabile e ansiosa, quindi ho pensato che era meglio prendermi cura di me stessa ed evitare le conferenze stampa. L’ho annunciato preventivamente perché ritengo che certe regole siano piuttosto obsolete e volevo evidenziarlo». Numerosi altri atleti, tra cui Serena Williams – sua storica avversaria – e Djokovic – attualmente numero uno nel ranking mondiale di tennis – nonché i responsabili del torneo, gli stessi che fino a pochi giorni prima la minacciavano di espulsione, hanno espresso parole vicinanza, stima e sostegno, offrendo alla tennista il loro aiuto.

Naomi Osaka
Naomi Osaka

A meno di un mese dall’inizio delle Olimpiadi di Tokio 2021, si (ri)accendono i riflettori su di un tema di cui ancora troppo poco si parla: la salute mentale e lo sport. Eppure esistono innumerevoli esempi di campioni e atleti olimpionici che, a seguito di grandi risultati, sono andati incontro a gravi difficoltà psicologiche: tanto più alta è la vetta raggiunta, tanto più profonda la successiva caduta depressiva. Kelly Holmes, mezzofondista britannica e vincitrice di due medaglie d’oro alle Olimpiadi di Atene, ha affermato di aver sofferto di depressione proprio durante il periodo delle gare: «Da una parte stavo morendo, e dall’altra parte, stavo vivendo il mio sogno di essere una campionessa olimpionica». Michael Phelps, vincitore di 28 medaglie nei Giochi Olimpici ha confessato: «Diventare un campione è la parte più facile, quella più difficile è non arrendersi. (…) Ero sempre affamato di vittorie, ne volevo sempre di più. Volevo spingermi fino al mio limite, vedere dove potevo arrivare. (…) Volevo vincere, arrivare sempre più in alto e dopo ogni Olimpiade cadevo in depressione. Ho pensato di non voler più vivere». Dopo 17 anni di carriera ai massimi livelli, Phelps si ritira e, per lenire la depressione e l’ansia, inizia a fare uso di alcool e stupefacenti. Tra gli atleti italiani Federica Pellegrini, campionessa di nuoto, ha affermato di soffrire di attacchi di panico in concomitanza con importanti gare, e anche il portiere di calcio Buffon si è esposto circa le proprie difficoltà a comprendere e gestire gli stati depressivi e di ansia che lo invalidavano durante importanti partite: «ero costretto a far convivere forzatamente il mio malessere e il fatto di dover fornire prestazioni elevate sul campo per non creare danni alla Juventus e all’Italia».


La pressione dello sportivo.
La pressione dello sportivo.

Non è difficile immaginare come la scelta di vita per certi versi estrema, che gli atleti professionisti intraprendono per raggiungere gli obiettivi sportivi prefissati possa concorrere a determinare problemi legati alla salute mentale: i talenti sono riconosciuti tali in giovane età, il che spesso comporta un allontanamento inevitabile e forzato dalla famiglia, dagli amici e dallo stile di vita dei coetanei, necessario per rincorrere nelle palestre quel sogno di gloria. Quello richiesto è un investimento di tempo e risorse psicofisiche notevolissime per cui si determinano nel pubblico e nell’atleta stesso delle aspettative molto elevate, che non si arrestano con i successi nelle gare ma, al contrario, si alimentano ad ogni nuovo traguardo. La responsabilità di non tradire la fiducia di chi crede nell’atleta, il timore di un infortunio, la consapevolezza che gli anni di allenamenti e preparazioni estenuanti si giocano in pochi minuti, se non in pochi secondi di gara, in cui la minima distrazione può vanificare tutto e cancellare un sogno rincorso per anni. Tutto questo crea una pressione nello sportivo tanto a livello fisico, quanto a livello mentale, a volte di difficile gestione. Paradossalmente anche quando il successo arriva e il sogno si realizza, l’atleta può attraversare periodi di depressione dovuti alla perdita di motivazione e al vuoto di senso che il sogno, ormai raggiunto, lascia dietro di sé. Campioni che, con qualche variabilità in base allo specifico sport, generalmente si trovano ancora giovanissimi ad essere troppo vecchi per continuare a gareggiare e, laddove i loro coetanei stanno iniziando ad intraprendere delle carriere lavorative, loro si trovano ad essere già alla fine della propria. Lo sport ad alti livelli richiede una dedizione, forza di volontà e sacrificio tali da diventare totalizzanti nell’esistenza dell’atleta, la cui ragione di vita finisce per coincidere con la possibilità di raggiungere dei riconoscimenti: quando questo viene meno, la caduta depressiva è una possibile conseguenza. La sfida diventa quindi quella di identificare nuovi obiettivi di vita che siano altrettanto stimolanti e che restituiscano all’ex atleta uno scopo a cui puntare, un senso altro da cui ripartire. Naomi Osaka fa un passo indietro, ferma il corpo per prendersi cura dello psichico: mens sana in corpore sano.


Scritto da Dott.ssa Sofia Bonomi, Psicologa Milano Porta Romana e Brescia Articolo pubblicato in data 08/07/2021 su Echoraffiche

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