Il Metaverso viene presentato dal suo ideatore come un paradiso terrestre, ma è sufficiente analizzarlo un po’ più a fondo per accorgersi che assomiglia di più al mondo distopico di Matrix e a quello allucinato delle psicosi.
Essere un visionario, proiettato in un futuro che i più neanche sanno figurarsi, e provvisto dei mezzi economici, tecnologici nonché delle capacità teoriche e pratiche per rendere l’immaginario reale: Mark Zuckerberg è tutto questo. L’annuncio del Metaverso ci ha catapultati improvvisamente in un futuro tutt’a un tratto divenuto presente, con mostra somiglianze tanto marcate quanto inquietanti con molti film di fantascienza come The Matrix, ma che si rivela altrettanto vicino ad alcune gravi condizioni cliniche, proprie dell’area psicotica.
Le possibili, oserei dire probabili, conseguenze sociali, economiche, politiche e psicologiche che l’introduzione del Metaverso potrebbe determinare, sembrano non appartenere alla scala delle priorità del miliardario in questione.
Ma cos’è il Metaverso? È un universo parallelo in realtà aumentata in cui chiunque, una volta iscrittosi e creatosi il proprio avatar, può interagire con altre persone, comprare terreni, progettare o comporre la propria casa, ma anche andare ai concerti, invitare i propri amici, uscire con loro, guardare video insieme e sfidarli a giochi da tavolo o sport. Insomma, può vivere e fare esperienze come, o più di come, fa nel mondo che tutti conosciamo… o almeno questo è quello che Mark vuol farci credere.
Un discorso ben studiato e pronunciato da Zuckerberg in persona ha accompagnato il lancio del progetto: un discorso all’insegna di una retorica iper-ottimistica volta a presentare tanto il fondatore di Facebook quanto la sua nuova creazione, in chiave altruistica ed inclusiva, finalizzata al bene e al vantaggio di tutti. In effetti Mark ci tiene a precisare da subito che «la nostra mission rimane la stessa: avvicinare le persone […] continuiamo ad essere l’azienda che progetta la tecnologia intorno alle persone» dunque la persona al centro. Aggiunge che chiunque potrà decidere quando e come stare con gli altri suoi simili e quando allontanarsi, mettersi e mettere in pausa l’interazione per ritirarsi da solo in una bolla privata.
Tutto questo, lo ricordiamo, è riferito all’avatar, perché si dà per scontato che la persona fisica, reale, si trovi già immersa nella solitudine a casa propria, o meglio, come direbbe Zuckerberg, maestro nel rendere dolcissime le cose più amare, comodamente seduta sul proprio divano: cosa c’è di meglio?
La portata rivoluzionaria del Metaverso include tutta una serie di mastodontiche ricadute economiche: «non ci sarà più bisogno di una reale tv, sarà sufficiente avere un ologramma [della tv] da un dollaro», e sociali, perché «potresti essere in ufficio evitando il tragitto per arrivarci, avendo comunque il senso della presenza, dello spazio fisico condiviso […] tutto accessibile da ogni luogo». Si prospetta una rivoluzione all’interno del sistema socio-economico senza precedenti, un salto nel vuoto che viene presentato da Mark come positivo perché darà alle persone l’opportunità di focalizzarsi sulle “cose che contano” e inoltre, parola di Zuckerberg, l’abbattimento del traffico determinerà ripercussioni positive per l’ambiente… un affare!
Questo miliardario, ma da oggi anche presunto filantropo e ambientalista, immagina il suo Metaverso come un luogo in cui il senso della presenza reale è la chiave per sentirsi connessi, per cui «l’avatar sarà in grado di creare un contatto visivo naturale e di replicare le tue espressioni facciali mentre le fai [per restituire] il senso reale di come ti senti».
Ora, se da un lato mi domando se non sia sufficiente vivere nella realtà fattuale con il proprio Io, il proprio corpo e circondati dalle altre persone reali e presenti per sperimentare quel senso di contatto su cui Zuckerberg insiste tanto, dall’altro lato mi torna in mente il mondo distopico immaginato dalle sorelle Wachowski, registe di The Matrix.
Il parallelismo tra il progetto di Mark e il mondo chiamato Matrix, fittizio e frutto di una neuro-simulazione interattiva onirica, è evidente: nel film gli uomini trascorrono tutta la loro vita all’interno di incubatrici con cavi elettrici, mentre le macchine, stimolando l’attività neuronale, fanno loro credere di vivere nel mondo come noi lo conosciamo; nella realtà prospettata nel Metaverso gli uomini rischiano di rinchiudersi nella solitudine delle loro stanze, connessi ad un computer che crea per loro un mondo edulcorato in cui tutto è accessibile, tutto è semplice e immediato, e anche le relazioni umane possono essere accese e spente in base ai propri desideri.
Il rischio è che tutto questo appaia di gran lunga preferibile alla fatica che il mondo reale e la società reale, con i loro ritmi, le loro logiche, i loro limiti e le loro regole, inevitabilmente impongono.
Piuttosto che vivere, diventerà più conveniente e preferibile interpretare il vivere nel Metaverso, acquistando terreni e una bella casa, arredandola nel migliore dei modi con degli ologrammi, visitando città e luoghi naturalistici, andando ai concerti e facendo qualunque tipo di esperienza stando seduti sul proprio divano.
Il Metaverso potrà diventare una realtà virtuale parallela fatta su misura per noi, un luogo in cui ci si potrà rifugiare per rifuggire lo squallore del mondo fisico, replicando perfettamente il meccanismo alla base delle allucinazioni proprie delle persone psicotiche. Chi sviluppa una psicosi lo fa solitamente a seguito di una serie di traumi reiterati, spesso perpetrati da figure di primaria importanza per lo sviluppo psico-affettivo: il mondo, di conseguenza, diventa insopportabile, incomprensibile, angosciante, per cui l’inconscio del soggetto cerca di difendersi costruendo una realtà altra, dal suo punto di vista più rassicurante e che la persona ha l’illusione di poter controllare. La società, però, interviene, costringendo lo psicotico a ritornare a vivere nel mondo condiviso.
Possiamo dunque immaginare il Metaverso come un mondo allucinato – perché immaginato, proiettato all’esterno e vissuto come reale, pur non essendo tangibile – ma condiviso tra più persone, sedotte e incoraggiate ad usufruirne sempre di più, in una sorta di psicosi collettiva.
La domanda è: potremo scegliere di non iscriverci?
Scritto da Dott.ssa Sofia Bonomi, Psicologa Milano Porta Romana e Brescia
Pubblicato in data 13/01/2022 su Echoraffiche
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